E’ una patologia relativamente frequente. Rappresenta circa il 10% di tutte le patologie che interessano il piede ed è una delle più comuni cause di dolore al tallone.
Si manifesta soprattutto tra gli sportivi (saltatori, giocatori di calcio, corridori di fondo).
Colpisce il sesso femminile con maggior frequenza tra i 40 e i 60 anni.
E’ dovuta alla ripetizione continua di eccessivi sovraccarichi a livello podalico che determinano l’infiammazione dell’aponeurosi plantare detta anche legamento arcuato o fascia plantare. E’ una robusta fascia fibrosa che unisce il calcagno con le falangi prossimali delle dita. All’altezza del tallone, e’ coperta da un cuscinetto di grasso che contribuisce ad assorbire gli shock che si generano quando si cammina.
Ha la funzione di sostenere il piede, incurvandolo. Gioca un ruolo importante nella trasmissione del peso corporeo al piede durante la deambulazione e la corsa. In particolare, quando il piede si eleva sulle punte staccando il tallone dal suolo, l’aponeurosi plantare subisce una distensione. La ripetizione continua di microtraumi che si ripercuotono sull’aponeurosi causano:
perdita di elasticità
eccessivo accorciamento
degenerazione: FASCITE
Il punto più sensibile a questo tipo di lesioni e’ l’inserzione calcaneare dell’aponeurosi.
Eziologia
Può insorgere a causa di vari fattori, spesso combinati tra loro
Piede piatto o cavo
Scarpe inadeguate
Sovrappeso, obesità, diabete
Allenamenti inadeguati
Contratture o debolezza di alcuni muscoli della gamba
Sintomi
DOLORE: inizialmente localizzato nella parte interna del calcagno, successivamente tende a spostarsi verso l’avampiede, migrando lungo tutta la pianta e risparmiando soltanto le falangi distali del piede. Spesso più severo al risveglio, tende a diminuire per poi ricomparire dopo una lunga passeggiata o al termine della giornata.
Nello sport il dolore insorge solitamente nelle fasi di riscaldamento per poi scomparire mano a mano che l’allenamento prosegue.
Il più delle volte colpisce prevalentemente un solo piede.
Diagnosi
Anamnesi
Ecografia: mostra irregolarità nella zona d’inserzione della fascia
TC e radiografia: per escludere altre cause di dolore al tallone
Terapia
Riposo: sospendere per qualche settimana gli allenamenti ed evitare di camminare o rimanere in piedi troppo a lungo, specie su superfici rigide. Se il dolore e’ particolarmente intenso, il soggetto deve utilizzare delle stampelle per scaricare completamente il piede
Ghiaccio: collocarlo al di sotto del tallone per circa 15 minuti, 3 o 4 volte al giorno
Terapia riabilitativa: esercizi di rinforzo e stretching, terapia manuale , massoterapia
Elettroterapia: ultrasuoni, ionoforesi, onde d’urto
FANS
Plantari o tallonette
Tutori notturni: eliminano il dolore al risveglio
Iniezioni locali di cortisone: non prive di rischi in quanto possono favorire l’indebolimento della fascia plantare ed atrofizzare il cuscinetto adiposo che protegge il tallone
Intervento chirurgico: soltanto qualora la fascite non tenda a migliorare dopo un trattamento aggressivo prolungato (8-12 mesi).
Tanto più tempestivamente viene iniziato il trattamento riabilitativo, tanto più precocemente si assisterà ad una riduzione dei sintomi. Al contrario se non si attuano le misure necessarie, oltre a cronicizzare, tenderà a modificare l’appoggio plantare del soggetto causando a lungo andare complicazioni a livello di ginocchia, bacino e schiena.
Una scoliosi è una curvatura vertebrale sul piano frontale con rotazione delle vertebre.
Questa curvatura può essere
Fissa
Atteggiamento scoliotico
CURVATURE FISSE
Si caratterizzano per una deformazione delle vertebre, che divengono trapezoidali o cuneiformi durante la crescita. La curva si accompagna a una rotazione vertebrale che si traduce all’esame in una GIBBOSITA’ , ben visibile nella posizione inclinata in avanti.
ATTEGGIAMENTI SCOLIOTICI
Si vedono di solito in:
disequilibri del bacino per dismetria degli arti inferiori
curvature antalgiche
legata a una contrattura muscolare
Le vertebre hanno una forma normale.
La curva di compensazione si corregge con la scomparsa della causa.
idiopatica: rappresenta la forma più frequente. Si ipotizzano alterazioni di tipo: genetico, neuromuscolare, biochimico, metabolico, sviluppo, accrescimento etc.
Sintomi
Variano da individuo ad individuo, tuttavia elenchiamo i sintomi piu’ comuni:
spalle ad altezza differente
testa in posizione non direttamente centrale rispetto al bacino
anca sollevata e prominente
coste ad altezza differente
fianchi irregolari
inclinazione di tutto il corpo verso un lato
prominenza delle coste quando si china
variazioni nel colore e nella consistenza della cute che ricopre la colonna
accorciamento del tronco che può essere responsabile di disturbi respiratori e cardiaci
Trattamento
La rieducazione posturale e gli esercizi sono fondamentali per un miglioramento della postura e dei sintomi.
I corsetti e la chirurgia sono utilizzati nei casi più gravi.
Si tratta di un processo degenerativo locale dovuto all’invecchiamento e all’usura, che si sviluppa indipendentemente da qualsiasi infezione, reazione allergica o disordine metabolico sistemico.
Possiamo avere coxartrosi
PRIMITIVE: nel 50% dei casi, si verificano in un’anca precedentemente normale, verso i 60 anni
SECONDARIE: si verificano dopo fratture del collo del femore, lussazioni, malformazioni etc.
Sintomi
L’inizio è insidioso, progressivo
Dolori all’appoggio, poi a poco a poco limitano la marcia e compaiono di notte. Sono localizzati a livello dell’inguine e si irradiano alla faccia antero-interna della coscia, a volte fino al ginocchio. Talvolta possono essere posteriori.
Rigidità: diventa via via sempre più difficoltoso accovacciarsi, mettersi le scarpe, andare in bagno, vita sessuale, etc. La flessione è spesso conservata a lungo. L’abduzione e l’adduzione sono colpite molto presto. La rotazione è interessata precocemente e si riscontra la scomparsa completa della rotazione interna.
Con il termine sciatalgia si intende un insieme di sintomi (dolore) che si irradiano lungo l’intero nervo sciatico, dalle sue radici alle estremità. E’ una patologia relativamente frequente e prevalentemente monolaterale.
E’ caratterizzata da una sensazione di intenso dolore in regione lombosacrale e all’arto, secondaria a un processo infiammatorio.
Possiamo avere
Sciatalgia acuta: durata del dolore 2/3 giorni, dopo di che i sintomi si attenuano fino a sparire
Sciatalgia cronica: quando la sintomatologia ha una durata maggiore
Il NERVO SCIATICO deriva dall’unione di una parte delle fibre nervose degli ultimi due nervi spinali lombari (L4 ed L5) e dai primi tre nervi spinali sacrali (S1,S2,S3), unione che ha luogo nella regione del gluteo, circa a livello del muscolo piriforme. Transita verso il basso lungo la parte posteriore della coscia e una volta superata la cavità poplitea, si dirama in varie branche che si distribuiscono tra la porzione posteriore della gamba, la porzione latero-anteriore della gamba, il dorso e la pianta del piede. Scorre tra vertebre, pelvi ed osso dell’anca. Garantisce la sensibilità e la mobilità delle gambe; pertanto, un danno a livello dello stesso può seriamente compromettere la capacità di deambulare.
Fattori di rischio
artrite
attività lavorative che richiedono di spostare carichi, guidare veicoli a motore per lungi periodi e torcere frequentemente la schiena
diabete
età avanzata: responsabile di fisiologiche modificazioni del rachide
infezioni della colonna vertebrale
obesità
osteoporosi
patologie del rachide
sedentarietà
sovra sforzo muscolare
traumi diretti a cosce, natiche e gambe
Eziologia
processo infiammatorio
compressione a carico dei nervi lombari (L4/L5) o sacrali (S1, S2, S3) secondaria a:
ernia discale lombare;
stenosi del canale vertebrale;
degenerazione dei dischi intervertebrali
disfunzione del giunto sacro-iliaco
gravidanza avanzata (compressione esercitata dall’utero sul nervo sciatico, tensione muscolare secondaria alla posture, compressione vertebrale conseguente al peso extra costituito dal feto)
poco esercizio fisico
lesione traumatica
abitudini posturali malsane (stare troppo tempo seduti in sedie rigide, dormire nella posizione fetale)
Dolore la cui intensità e persistenza varia in base alla causa
Il dolore può essere percepito come bruciante, acuto, penetrante, inarrestabile, lieve ed acutizzarsi in determinate circostanze. Spesso si manifesta con più ferocia dopo sforzi, colpi di tosse e starnuti. Stress, ansia e tensioni quotidiane/lavorative possono influire negativamente aggravandolo. Presente a livello di anca, parte posteriore della coscia fino al piede; percepito di solito da un solo lato del corpo.
Sensazione di torpore
Debolezza muscolare
Formicolii alle gambe
Difficoltà più o meno marcata nel controllare i movimenti degli arti inferiori
Perdita di controllo degli sfinteri anale e viscerale (raro)
Progressiva acutizzazione del dolore
Si parla di SCIATICA MOZZA quando il dolore lungo il nervo sciatico non va oltre il ginocchio.
Terapia
Finalizzata a eliminare la causa primitiva
Riposo forzato
Farmaci
Iniezioni di cortisonici
Stampelle per alleggerire il dolore
Terapia riabilitativa per migliorare la flessibilità del rachide, irrobustire la muscolatura e correggere la postura
Appropriati cambiamenti delle abitudini di vita e lavorative
Caratterizzata da una riduzione della massa ossea per aumento della velocità del riassorbimento osseo rispetto alla velocità di neoformazione ossea.
Fattori predisponenti
sesso femminile;
menopausa;
età > ai 50 anni;
razza bianca;
fumo di sigaretta;
abuso di alcool.
Classificazione
Osteoporosi idiopatica: colpisce bambini e giovani adulti di entrambi i sessi. Patogenesi sconosciuta.
Osteoporosi TIPO I: colpisce donne in menopausa, di età compresa tra i 51 e 75 anni. Complicanza più frequente e’ la frattura dei corpi vertebrali e parte distale dell’avambraccio.
Osteoporosi TIPO II: colpisce donne e uomini in età > ai 70 anni. Complicanza più frequente e’ la frattura del collo del femore, parte prossimale di omero e tibia e delle pelvi.
Sebbene sia una patologia generalizzata dello scheletro, le sue principali manifestazioni cliniche sono dovute a fratture di:
vertebre: tratto toracico medio e inferiore, tratto lombare superiore
polso
anca
omero
tibia
I sintomi più frequenti sono
dolore acuto irradiato ai fianchi e addome
deformità
debolezza muscolare
Esami strumentali
MOC: necessaria per misurare la densità ossea e fare diagnosi precoce di malattia
Radiografia: (non consente una diagnosi precoce )
TAC: riscontro di fratture non evidenti ai raggi X
Risonanza magnetica: apprezzamento fratture vertebrali , permettendo di stabilire se sono recenti o di vecchia data.
Terapia
Terapia sostitutiva ormonale
Fisioterapia/osteopatia: esercizi volti a correggere le deformità posturali, incrementare il tono muscolare e prevenire recidive
Il dolore all’articolazione dell’anca è un sintomo molto comune, che va diagnosticato da un medico o specialista. Varie possono essere le cause, anche se quella più comune è l’osteoartrosi.
CAUSE
Osteoartrosi, meglio detta coxartrosi o artrosi dell’anca.
Impingement femoro acetabolare: le ossa dell’articolazione dell’anca (femore e testa dell’ acetabolo) non combaciano come dovrebbero e si verifica un anomalo contatto tra i due capi. Il conflitto (cosi chiamato) può dipendere da una deformità dell’acetabolo che assume una conformazione a pinza tale da stringere la testa del femore o del femore la cui testa non è sferica e per questo durante il movimento sfrega contro il bordo dell’acetabolo. Le deformità posso presentarsi anche insieme.
Lesione del labbro acetabolare: cioè dell’anello di fibro cartilagine che circonda l’acetabolo e che ha lo scopo di mantenere la testa del femore all’interno dello stesso e fornire stabilità all’anca.
Displasia dell’anca: malformazione congenita che porta la testa del femore a dislocarsi dalla cavità acetabolare destinata a contenerla e a farla ruotare al proprio interno.
Frattura dell’anca: comune nelle persone anziane, soprattutto se interessate da forme severe di impoverimento osseo (osteoporosi, osteopenia) che favoriscono fratture spontanee dopo traumi modesti.
Infezioni virali o batteriche dell’articolazione dell’anca come osteomielite o artrite settica.
Osteonecrosi: degenerazione dell’osso e delle strutture circostanti che può insorgere a causa di un’alterata vascolarizzazione, come esito di una frattura/lussazione non correttamente risolta o anche come evento avverso di alcune terapie, come la radioterapia nella zona del bacino o l’assunzione di corticosteroidi ad alte dosi, find sexynude.biz abigail breslin nude here.
Borsite trocanterica: patologia infiammatoria che interessa una o più borse sinoviali collocate sopra o sotto il grande trocantere del femore (il quale si trova sulla faccia laterale del collo del femore). Le borse hanno lo scopo di migliorare lo scorrimento tendineo e di ammortizzare gli urti, preservando i tessuti deboli. La patologia provoca dolore, rossore e gonfiore nella sede interessata.
Lesione dei muscoli ischio crurali (muscoli posteriori della coscia).
Infiammazioni a carico dei tessuti molli che circondano e articolano la testa del femore e l’acetabolo, come la tendinopatia del medio gluteo: infiammazione dei fasci muscolari del muscolo gluteo medio, che si estende dalla cresta iliaca al trocantere del femore e funziona da abduttore della coscia e da stabilizzatore in caso di appoggio monopodalico.
Discopatia con infiammazioni del nervo sciatico che può dare sintomi all’anca e all’inguine.
Infiammazione del nervo femorale laterale cutaneo.
Ernia inguinale o femorale.
Fibromialgia.
Neoplasia ossea primaria o metastatica.
Coxartrosi
Una delle principali cause di dolore articolare all’anca negli adulti. E’ una condizione infiammatoria di tipo cronico, caratterizzata dalla degenerazione della cartilagine articolare costituente l’articolazione dell’anca. Puo’ avere origine idiopatica, quando si manifesta senza ragione o secondaria, quando è la conseguenza di un trauma, una frattura, infezione ecc.
La coxartrosi insorge a causa della degenerazione della cartilagine articolare che comporta un assottigliamento dello strato cartilagineo che ricopre le superfici ossee dell’anca. Come conseguenza all’assottigliamento, le superfici ossee sfregano tra di loro e causano infiammazione. Inoltre si ha la formazione di osteofiti, piccoli speroni ossei che si formano lungo i margini articolari dell’articolazione dell’anca. La loro formazione rappresenta una reazione del tessuto osseo, che cerca di stabilire una maggior superficie di contatto tra i corpi articolari usurati.
Fattori di rischio
Età avanzata
Sesso femminile
Storia passata di infortuni dell’anca
Sedentarietà
Obesità/sovrappeso
Diabete
Artrite reumatoide
Gotta
Sintomi
Dolore a livello dell’anca e nelle vicinanza (inguine, parte anteriore della coscia) dovuto all’infiammazione dei tessuti dentro e intorno all’ articolazione dell’anca.
Rigidità articolare e riduzione del ROM articolare (range of motion)
Difficoltà ad eseguire alcune attività (camminare, alzarsi dal letto ecc)
Rimedi
Non esiste una cura per l’osteoartrosi.
I farmaci antidolorifici e anti infiammatori possono aiutare a ridurre i sintomi nelle prime fasi della malattia. Se il dolore peggiora, ma sempre nelle fasi iniziali, si può ricorrere ad infiltrazioni di acido ialuronico, che rallentano la distruzione della cartilagine e la progressione della malattia. Di fronte ad un’artrosi avanzata il trattamento chirurgico rimane la scelta migliore. Questo consiste nell’inserimento di una protesi che sostituisce la naturale articolazione malata. L’intervento elimina il dolore e migliora la qualità di vita dei pazienti.
Il calo ponderale, l’esercizio fisico e la fisioterapia sono indispensabili nella fase pre e post operatoria. Dopo l’intervento è necessario intraprendere un programma riabilitativo mirato a rafforzare i muscoli, migliorare la mobilità dell’anca e favorire un recupero precoce. Anche prima dell’intervento, eseguire esercizi di rinforzo muscolare e mobilità è consigliato per ottenere una ripresa più veloce ed efficace una volta inserita la protesi.
Quando è opportuno rivolgersi ad un medico
Il dolore all’anca spesso migliora da solo e può essere gestito attraverso l’uso di anti dolorifici e con riposo.
E’ consigliabile consultare un medico nei seguenti casi:
il dolore all’anca non passa dopo una settimana di riposo a casa
in presenza di febbre o irritazione e prurito
il dolore è in entrambe le anche e in altre articolazioni
il dolore all’anca si è presentato improvvisamente e il soggetto è affetto da anemia falciforme
Vai immediatamente in ospedale se:
il dolore all’anca si è presentato dopo una brutta caduta o incidente
la gamba è deformata, sanguinante e con un brutto ematoma
non riesci a muovere l’anca e a caricare sulla gamba
hai dolore all’anca, febbre e malessere generale
Gestire i sintomi a casa
Se non strettamente necessario( come nei casi sopra menzionati), prima di consultare un dottore o specialista, puoi provare a gestire il problema autonomamente.
Potresti trovare beneficio considerando le opzioni sotto riportate:
perdere peso
evitare attività che incrementano il dolore, come correre
indossare scarpe troppo basse ed evitare di stare in piedi per periodi lunghi
vedere un fisioterapista per avere un programma di esercizi specifici di rinforzo muscolare
prendere anti dolorifici
Overactivity
Se pensi che il dolore all’anca sia dovuto allo sport, ad esercizi o attività che svolgi regolarmente, potresti seguire questi consigli:
riduci gli esercizi o sport che pratichi se ti stai allenando troppo
fai un riscaldamento prima di esercitarti e dello stretching al termine dell’allenamento
esegui attività in assenza di carico come nuoto o bicicletta, piuttosto che la corsa
corri su superfici lisce e morbide, come l’erba, piuttosto che sul cemento
accertati che le scarpe da corsa calzino e supportino i tuoi piedi in maniera appropriata.
L’artrite reumatoide è una patologia infiammatoria cronica,sistemica ed autoimmune che causa dolore, gonfiore e rigidità a livello delle articolazioni. Di solito colpisce le articolazioni delle mani, dei piedi e i polsi.
Ci sono periodi in cui i sintomi possono peggiorare, le cosi dette ricadute. Periodi di esacerbazioni si susseguono ad altri di remissione, si può affermare che la patologia ha un andamento ciclico recidivante. Una ricaduta è difficile da prevedere, ma con il giusto trattamento si può ridurre il numero di recidive e diminuire i danni sulle articolazioni. Molte persone affette da artrite reumatoide lamentano dolori in altre parti del corpo o più comunemente sintomi generali come stanchezza e perdita di peso.
SINTOMI
L’ artrite reumatoide colpisce le articolazioni di tutto il corpo, anche se maggiormente sono coinvolte le piccole articolazioni della mani e dei piedi.
Solitamente coinvolge le articolazioni simmetricamente (entrambi i lati del corpo nello stesso momento e in egual misura ), ma non sempre è cosi. I sintomi principali sono dolore, gonfiore e rigidità. Spesso i sintomi si presentano gradualmente nell’arco di più settimane, ma in alcuni individui la malattia progredisce più rapidamente in pochi giorni. I sintomi variano da persona a persona, possono sparire per poi ripresentarsi, oppure mutare nel corso del tempo. A volte si possono presentare ricadute e l’infiammazione può estendersi a tutto il corpo.
DOLORE: di solito il dolore da artrite reumatoide è pulsante e lancinante. Peggiora la mattina e dopo un periodo di inattività. RIGIDITA’: altro sintomi di questa patologia è la rigidità che interessa maggiormente le mani ed in questo caso può alterare la capacità del soggetto di piegare le dita o formare un pugno.
La rigidità, come il dolore, peggiora la mattina e dopo un periodo di inattività. La rigidità mattutina è riscontrabile anche nell’artrosi. La differenza tra le due è che nella prima tale sintomo scompare dopo circa 30 minuti dal risveglio, invece nell’ artrite reumatoide si protende per più tempo.
GONFIORE, ROSSORE E CALORE: i tessuti molli che rivestono le articolazioni si possono infiammare e causare gonfiore articolare e calore. Con il tempo la flogosi cicatrizza, il tessuto infiammatorio diventa fibroso o cicatriziale. Il conseguente ispessimento dei tessuti intrarticolari, associato alla degenerazione cartilaginea, alle erosioni ossee ed al gonfiore, riduce sensibilmente la mobilità dell’articolazione.
Fino al 30% dei soggetti affetti da artrite reumatoide presenta rigonfiamenti solidi subito sotto la cute (definiti noduli reumatoidi), in genere in prossimità delle zone di pressione (come la parte posteriore dell’avambraccio vicino al gomito).
Essendo una malattia sistemica può coinvolgere molti organi del corpo tra cui cuore, reni e polmoni ed essere causa di altri sintomi, tra cui:
stanchezza e perdita di energia
aumento della temperatura
sudorazione
riduzione dell’appetito
perdita di peso
secchezza agli occhi (nel caso in cui gli occhi siano coinvolti)
dolore al torace (nel caso in cui il cuore o polmoni siano colpiti)
CAUSE
Non si conosce la causa precisa di questa malattia. L’ artrite reumatoide è considerata una malattia autoimmune, cioè è provocata da alcuni componenti del sistema immunitario che attaccano i tessuti molli che ricoprono le articolazioni. Il tessuto sinoviale che copre le articolazioni diventa doloroso e infiammato e rilascia sostanze chimiche dannose per ossa, cartilagine, tendini e legamenti. L’infiammazione della sinovia produce molto liquido che si riversa nell’articolazione, tendini e borse. In condizioni normali questo liquido, detto sinoviale, è importante per garantire il nutrimento alla cartilagine articolare, proteggere le articolazioni dagli impatti e facilitare lo scorrimento tra le varie strutture anatomiche. Quando è eccessivo causa però gonfiore diffuso; caratteristico è quello delle dita, che assumono la tipica forma a fuso.
In fase avanzata, il perdurare della flogosi, fa si che la cartilagine, l’osso e i legamenti delle articolazioni sono erosi (si usurano), causando deformità, instabilità e formazione di tessuto cicatriziale all’interno dell’articolazione. Con il tempo le ossa si deformano e usurano e, se la patologia non viene trattata, le articolazioni si possono danneggiare completamente. Ad ogni modo, ad oggi, ancora non è si sa quale sia il fattore trigger che spinge il sistema immunitario ad attaccare le articolazioni e provocare la patologia.
POSSIBILI FATTORI DI RISCHIO
L’ artrite reumatoide è una malattia multifattoriale, cioè ci sono vari fattori che aumentano il rischio di svilupparla:
geni– anche se non ci sono evidenze certe, si pensa che la predisposizione genetica possa influenzare l’andamento di questa patologia
ormoni– l’ è più frequente nelle donne , forse per l’effetto degli ormoni estrogeni, ma ciò non è stato scientificamente provato
fumo– alcune ricerche hanno suggerito che il fumo può essere un fattore predisponente alla malattia
DIAGNOSI
Esami del sangue
I medici effettuano esami del sangue per determinare i livelli ematici del soggetto per quanto riguarda il fattore reumatoide e gli anticorpi anti-CCP e, solitamente, la proteina C-reattiva, VES o entrambi.
Diversi soggetti che soffrono di artrite reumatoide hanno nel sangue anticorpi specifici, quali il fattore reumatoide e gli anticorpi anti-CCP. Il fattore reumatoide è una proteina che il sistema immunitario produce quando attacca il tessuto sinoviale. La metà delle persone affette da artrite reumatoide ha un valore elevato di fattore reumatoide all’inizio della patologia, 1 individuo su 20 senza artrite reumatoide può essere positivo al test. Gli anticorpi anti-CCP sono anche essi prodotti dal sistema immunitario, sono presenti in oltre il 75% dei soggetti che soffrono di artrite reumatoide e sono quasi sempre assenti nelle persone che non ne soffrono. Ma non tutti gli individui con artrite reumatoide hanno questi anticorpi. Proteina C reattiva è un altro test per misure il livello di infiammazione.
VES: La VES è un altro esame per individuare la presenza di infiammazione e misura la velocità con cui i globuli rossi si depositano sul fondo di una provetta contenente sangue. Tuttavia, aumenti simili della VES, dei livelli di proteina c-reattiva o di entrambi possono manifestarsi in molti altri disturbi. I medici potrebbero monitorare la VES o la proteina c-reattiva per cercare di determinare se la malattia sia attiva. La VES è utile anche per verificare la presenza di anemia. La maggior parte dei soggetti affetti da artrite reumatoide presenta una lieve anemia (un numero insufficiente di globuli rossi).
SCANS
La radiografia e la risonanza magnetica sono strumenti utilizzati per controllare l’infiammazione e le alterazioni nelle articolazioni causate dalla malattia. Possono aiutare a monitorare il decorso della malattia nel tempo e a differenziare le diverse forme di artrite.
TRATTAMENTO
Il trattamento per l’ artrite reumatoide può aiutare a ridurre l’infiammazione, il dolore, prevenire o rallentare il danno articolare e la disabilità. Non esiste una cura, ma un trattamento precoce può ridurre il rischio di incombere in seri danni e limitare l’impatto della patologia sulla vita dell’individuo.
Di seguito le tipologie di trattamento utilizzate:
Farmaci
Fisioterapia, terapia occupazionale
Provvedimenti relativi allo stile di vita (smettere di fumare, seguire una dieta ecc)
Intervento chirurgico
Farmaci: I FANS sono comunemente usati per trattare i sintomi dell’artrite reumatoide. Non prevengono il progredire del danno causato dall’artrite e quindi non devono essere utilizzati come trattamento primario.
I FANS possono ridurre il gonfiore delle articolazioni colpite e alleviare il dolore. Possono essere assunti per via orale o applicati direttamente sulla cute sopra le articolazioni dolorose. L’artrite reumatoide, a differenza dell’osteoartrite, causa un’infiammazione considerevole. Di conseguenza, i farmaci che diminuiscono l’infiammazione, inclusi i FANS, hanno un vantaggio importante sui farmaci quali il paracetamolo, che riduce il dolore, ma non l’infiammazione.
Dal momento che possono rallentare effettivamente la progressione della malattia e alleviare i sintomi, i farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD) vengono spesso avviati non appena viene formulata la diagnosi di artrite reumatoide. Circa due terzi delle persone migliorano, in generale, e le remissioni complete sono sempre più frequenti. La progressione dell’artrite solitamente rallenta, ma il dolore può persistere. I soggetti devono essere messi al corrente dei rischi dei DMARD e devono essere sorvegliati attentamente per controllare la tossicità.
I corticosteroidi sono potenti farmaci antinfiammatori che sopprimono il sistema immunitario. I corticosteroidi, come il prednisone, sono i farmaci assolutamente più efficaci nel ridurre l’infiammazione e i sintomi dell’artrite reumatoide in ogni sede del corpo. Benché i corticosteroidi siano efficaci per l’uso a breve termine, potrebbero non prevenire la distruzione dell’articolazione e potrebbero perdere efficacia con il tempo, mentre l’artrite reumatoide rimane in genere attiva per anni.
Di conseguenza, i medici in genere riservano i corticosteroidi per l’uso a breve termine nelle seguenti situazioni:
Quando si avvia il trattamento per i sintomi gravi (finché un DMARD non ha raggiunto l’effetto)
Nelle riacutizzazioni gravi quando sono colpite molte articolazioni
Trattamento biologico: altre classi di farmaci immunosoppressori vengono spesso chiamate collettivamente agenti biologici. Un agente biologico viene prodotto a partire da un organismo vivente. Molti agenti biologici utilizzati per trattare l’artrite reumatoide sono anticorpi. Analogamente ai farmaci immunosoppressori, gli agenti biologici sopprimono l’infiammazione in modo da evitare i corticosteroidi o utilizzarli a dosi inferiori. Pertanto, interferendo con il sistema immunitario, gli agenti biologici possono aumentare i rischi di infezione e di alcuni tumori.
TRATTAMENTO DI SUPPORTO
FISIOTERAPIA
La fisioterapia ha lo scopo di mantenere una buona forma fisica, di rinforzare i muscoli e di rendere le articolazioni più flessibili.
Se le mani e i polsi sono coinvolti dalla malattia, il fisioterapista, tramite sedute individuali, mostrerà al paziente una serie di esercizi da ripetere anche individualmente a casa. Foto 3
Il fisioterapista potrà dare consigli per la riduzione dei sintomi tramite l’applicazione di calore o ghiaccio e tramite l’utilizzo di dispositivi elettromedicali quali la TENS.
La scelta della terapia con il calore (termoterapia) o con il freddo (crioterapia) spesso è personale del terapista, benché quest’ultima si dimostri più efficace nel dolore acuto. Nell’ambito di un trattamento a base di termoterapia o crioterapia, occorre usare cautela, al fine di evitare ustioni e lesioni da freddo. Il calore aumenta il flusso ematico e rende il tessuto connettivo più flessibile. Riduce temporaneamente la rigidità articolare, il dolore e gli spasmi muscolari. Inoltre, contribuisce ad attenuare l’infiammazione e l’accumulo di liquido nei tessuti. L’applicazione di freddo può essere utile per rendere insensibili i tessuti e attenuare gli spasmi muscolari.
L’elettrostimolazione nervosa transcutanea TENS può essere applicata diverse volte al giorno per un periodo compreso tra 20 minuti e varie ore, in base alla gravità del dolore. Spesso, è possibile insegnare ai pazienti a utilizzare questo apparecchio in casa, se necessario. La maggioranza dei pazienti tollera bene la terapia, ma non tutti ottengono un’attenuazione del dolore. Questo macchinario attraverso un piccolo impulso elettrico può intorpidire le terminazioni nervose alleviare il dolore dell’ artrite reumatoide . Prevede l’uso di un dispositivo portatile, a batteria, che produce la corrente, applicata attraverso gli elettrodi sulla cute. Il dispositivo provoca una sensazione di formicolio ma non dolorosa.
Anche i massaggi possono alleviare il dolore, ridurre il gonfiore e far rilasciare i tessuti che sono tesi (contratti). Inoltre il fisioterapista può praticare mobilizzazioni passive sui pazienti per allentare le rigidità articolari ed insegnare esercizi di stretching e ginnastica dolce che il paziente potrà svolgere anche a casa. L’esercizio fisico regolare è consigliato per mantenere la forza muscolare e la funzionalità fisica generale; peraltro, la fatica di esercizio aiuta a decentrare l’attenzione dai dolori localizzati.
Altro trattamento è l’agopuntura che prevede l’inserimento di sottili aghi per via sottocutanea in specifiche sedi del corpo, spesso lontano dalla sede del dolore. Gli aghi vengono ruotati rapidamente e a intermittenza per alcuni minuti, oppure viene applicata una corrente elettrica di bassa intensità attraverso gli aghi. L’agopuntura può stimolare il cervello a produrre endorfine. Queste sostanze, prodotte naturalmente dal cervello, bloccano la sensazione di dolore e riducono l’infiammazione. L’agopuntura trova talora impiego con altri trattamenti per la gestione di dolore cronico e artrite di recente sviluppo.
TERAPIA OCCUPAZIONALE
Un terapista occupazionale ha il compito di insegnare al paziente e dare consigli su come proteggere le articolazioni sia a casa che sul lavoro. Può fornire supporti come tutori o attrezzi che possono aiutare a svolgere mansioni come aprire un barattolo o girare un rubinetto che possono diventare difficili nelle fasi avanzate della malattia.
CHIRURGIA
A volte l’intervento chirurgico è necessario per recuperare l’abilità di usare le articolazioni nel caso siano completamente danneggiate e i farmaci non sono stati efficaci.
Esempi:
sindrome del tunnel carpale – la chirurgia consiste nel tagliare il legamento nel polso per ridurre la compressione sul nervo
liberazioni dei tendini delle dita per ridurre le deformità
rimozione del tessuto infiammato che riveste le articolazioni delle dita
L’artroscopia è l’operazione utilizzata per rimuovere il tessuto osseo infiammato.
Protesi articolari
La sostituzione chirurgica dell’articolazione in particolar modo del ginocchio, dell’anca o spalla è il modo più efficace per ripristinare la motilità e la funzione nella fase avanzata della patologia articolare.
ALIMENTAZIONE E DIETA
Non ci sono evidenze scientifiche a provare che una specifica dieta possa migliorare i sintomi dell’artrite reumatoide . Nonostante ciò alcuni pazienti possono avere un peggioramento dei sintomi mangiando alcuni cibi. E’ comunque importante seguire un regime alimentare salutare e bilanciato. La dieta mediterranea è raccomandata.
Chi segue una dieta mediterranea (ricca di ortaggi, cereali integrali e leguminose) ha un rischio inferiore di insorgenza e gravità per l’artrite reumatoide.
E’ dunque possibile stabilire una gamma di alimenti che possono essere utili nel trattamento dell’artrite reumatoide, ovvero quelli ricchi di certi acidi grassi :l’olio di krill e certe alghe (che possono essere consumate come tali o sotto forma di olio); tra i pesci ricordiamo tutti quelli azzurri come: tonno (più la ventresca del filetto), pesce spada, palamita, sgombro, lanzardo, aguglia o costardella, sugarello, cicerello, papalina, aringa, alaccia, sarda o sardina, acciuga o alice, merluzzo.
Se è vero che alcuni alimenti possono favorire la riduzione sintomatologica dell’artrite reumatoide, è altrettanto vero che certi nutrienti ed un eccesso del grasso corporeo ne peggiorano la condizione.
L’obesità consiste in un esubero del grasso corporeo, il quale viene stoccato principalmente nel tessuto adiposo; quest’ultimo non è fatto di materia amorfa, bensì da cellule che interagiscono con il resto dell’organismo. Nello specifico, quando sono troppo gonfie e sollecitate allo sviluppo, queste cellule secernono varie molecole di natura infiammatoria che peggiorano la condizione.
Un eccesso alimentare cronico, causando sovrappeso, costituisce un importante fattore di rischio per l’artrite reumatoide. Inoltre, l’aumento del carico di lavoro sulle articolazioni dolenti non può far altro che aggravare la sintomatologia dolorosa. E’ anche dimostrato scientificamente chel’abuso alcolico incide negativamente sulla malattia favorendone l’insorgenza ed il peggioramento.
Il fondatore della terapia cranio sacrale fu William Garner Sutherland, un giornalista scozzese che rimase affascinato dal personaggio di Still ( fondatore dell’osteopatia) a tal punto da iscriversi alla sua scuola. Durante gli studi passava continuamente per un corridoio dove erano esposte alcune ossa vere e tra queste si soffermò su un cranio disarticolato. Egli notò che tra le ossa parietali e temporali c’era un’apertura (mentre sui libri queste venivano presentate come saldate). Le superfici articolare delle ossa craniali sembravano destinate ad una mobilità e dato che tutto il corpo si muove, pensò che anche il cranio avesse questa capacità, cosi iniziò un periodo di studio del cranio che durò ben 25 anni. In questo lasso di tempo fece vari esperimenti anche su se stesso. Poi si chiese: cosa fa muovere le ossa?
La terapia cranio sacrale di William Garner Sutherland
Fece un paragono tra articolazioni periferiche ed il cranio che è costituito da ossa, liquido cerebro spinale (liquido sinoviale) e la dura madre (legamenti), l’unica cosa che mancava erano i muscoli. Suotherland pensò che mancando i muscoli tra le ossa craniche, ciò che permette il movimento è un motore interno: la corteccia cerebrale.
Da qui nasce il concetto di MOVIMENTO RESPIRATORIO PRIMARIO basato sull’impulso ritmico craniale, il quale andrebbe a creare un movimento impercettibile, continuo, ritmico, involontario e permanente che può essere paragonato alle contrazioni del colon, al movimento del cuore, dei polmoni ecc
Successivamente, vari studi scientifici hanno potuto dimostrare che le ossa del cranio non sono saldate tra di loro, bensi’ nello spazio tra le suture sono state trovate fibre collagene e arteriole che portano il nutrimento alla zona. Il movimento respiratorio è stato percepito e misurato (25 micron).
Oggi il movimento respiratorio primario è il principale indice del nostro stato di salute e durante il trattamento osteopatico è un parametro che deve migliorare per far si che lo stesso paziente recuperi uno stato di salute soddisfacente.
I principi osteopatici fondamentali sono:
il corpo è un’unità e come tale funziona
la struttura governa la funzione
il corpo ha capacità innate di autoregolazione e auto guarigione
Quindi le ossa del cranio e del sacro funzionano come un’unità funzionale che possiede una mobilità involontaria nelle fasi del MRP (meccanismo respiratorio primario) .
Il cranio induce il MRP di tutto il corpo avvalendosi, nella sua trasmissione della collaborazione del sacro ed il sistema neurovegetativo. Questo legame tra cranio e sacro è detto CORE LINK.
L’attività del Sistema Cranio Sacrale influenza tutto il sistema. Le disfunzioni somatoviscerali e viscerosomatiche sono in grado di ridurne l’efficienza, causando disturbi o con il passare del tempo, vere e proprie patologie.
La terapia cranio sacrale diventa uno strumento per mantenere o riportare in salute alcune tra le più importanti strutture del nostro organismo e quindi per ri-armonizzare il movimento cranio sacrale nel caso sia alterato da qualche patologia.
In condizioni di buona salute, i movimenti cranio sacrali sono periodici, equilibrati e determinano movimenti ritmici in tutta la struttura corporea. Sono percepibili attraverso una palpazione manuale.
Quando l’organismo è malato, questi movimenti sono alterati.
Indicazioni terapia cranio sacrale
Si ricorre alla terapia cranio sacrale soprattutto quando si soffre di una qualche patologia ad esempio:
PROBLEMATICHE DELL’APPARATO RESPIRATORIO
DISTURBI ENDOCRINI
DISTURBI DELLE ARTICOLAZIONI
DISTURBI GINECOLOGICI
DISTURBI CARDIACI E DEI VASI SANGUIGNI
DISTURBI DEL SONNO
VERTIGINI
DISTURBI DIGESTIVI
DISTURBI DELL’APPARATO STOMATOGNATICO
DISTURBI DELLE FUNZIONI VISCERALI
DOLORI CRONICI
DISTURBI VISIVI E DELL’ORECCHIO MEDIO
PROBLEMATICHE PSICO-SOMATICHE E IPERATTIVITA’ NEL BAMBINO
DISTURBI DI ORIGINE POSTUROLOGICA
In realtà essa è anche un ottimo strumento di controllo e di prevenzione a cui ricorrere periodicamente nel corso della vita.
Si tratta di una terapia delicata e sicura, che viene svolta manualmente dall’operatore tramite un tocco leggero alle ossa craniche e lungo tutta la colonna vertebrale. Favorisce il riequilibrio dell’impulso ritmico craniale andando a correggere quegli errori che hanno generato dolore o fastidio.
Il trattamento effettuato va ad agire in maniera profonda sul sistema nervoso, inducendo uno stato di benessere generale, a livello fisico ed emotivo, influenzando anche il sistema ormonale e quello immunitario.
In Italia questa disciplina non è ancora stata associata ufficialmente alla medicina tradizionale al contrario di molti altri paesi europei, anglosassoni ed americani, e, oltre ad alcune scuole di osteopatia, vi sono pochissime scuole che la insegnino in seri iter scolastici, conformemente all’eredità lasciataci dal Dott. Sutherland. I benefici dell’approccio cranico al neonato e all’adulto sono oggi giorno ampiamente documentati e dimostrati. Tuttavia le tecniche vanno eseguite esclusivamente da operatori che abbiano una profonda conoscenza della neuroanatomia e della biomeccanica e biodinamica craniosacrale.
La fisioterapia (dal greco Φυσιο = naturale e θεραπεία = terapia) è quella branca della medicina che si occupa del recupero di un movimento e di una funzione persi o compromessi a seguito di una patologia, disabilità o di una lesione. Inoltre aiuta a ridurre il rischio di infortuni e patologie future. Si ritiene che medici dell’antichità quali Ippocrate e Galeno possano essere considerati i primi praticanti di fisioterapia. Già nel 480 a.C essi proponevano trattati sul massaggio,tecniche di terapia manuale e terapia in acqua.
Quando viene utilizzata la fisioterapia?
La fisioterapia viene utilizzata su persone di qualsiasi età con molteplici condizioni mediche inclusi problemi che affliggono:
Ossa, articolazioni e tessuti molli: come lombalgie, cervicalgie, dolori alla spalla e infortuni sportivi;
Cervello e sistema nervoso: come problemi del movimento a seguito di ictus, sclerosi multipla, Parkinson, SLA ecc.;
La fisioterapia aiuta a migliorare la forma fisica ed insieme a prevenire eventuali future problematiche.
Il Fisioterapista
Il fisioterapista è un professionista sanitario, in possesso di una laurea in fisioterapia e in continua formazione tramite corsi e master . I fisioterapisti spesso lavorano come parte di un team multidisciplinare, specializzandosi in diverse aree mediche e possono svolgere la loro attività in molteplici luoghi:
Ospedali;
Cliniche fisioterapiche private e pubbliche;
Centri medici e studi privati;
RSA – residenze sanitarie assistenziali e case di cura;
Team sportivi, clubs
Alcuni fisioterapisti inoltre offrono trattamenti domiciliari.
Cosa fanno i fisioterapisti?
Il fisioterapista considera la persona e il corpo nella sua complessità,non focalizzandosi solo su aspetti individuali di una lesione o patologia. Alcuni dei piu’ comuni approcci usati dai fisioterapisti includono:
educazione e consigli: il fisioterapista puo’ dare consigli generali su cose che possono condizionare la tua vita quotidiana come postura, strategie corrette di sollevamento e trasporto per prevenire infortuni
movimento, esercizi specifici e consigli su l’attività fisica: gli esercizi possono essere raccomandati dal fisioterapista per migliorare la salute generale, la mobilità e per rinforzare determinate parti del corpo
terapia manuale: i fisioterapisti possono utilizzare le loro mani per ridurre dolore e tensione muscolare e migliorare il movimento corporeo
Ci sono anche altre tecniche utilizzate come l’idroterapia, cioè esercizi in acqua, l’agopuntura e le terapie strumentali (laserterapia, magnetoterapia, ultrasuonoterapia, elettroterapia ecc) di cui il fisioterapista deve essere a conoscenza. Quando assume un nuovo paziente il fisioterapista fa un’anamnesi dell’assistito, esaminando la storia clinica, le prescrizioni mediche e controlla tutta la documentazione medica. Effettua poi un esame oggettivo, per valutare le capacità fisiche e motorie della persona in varie posizioni, utilizzando test specifici e strumenti particolari. Poi elabora un piano terapeutico su misura e specifico per ogni paziente, prefissando obiettivi e tempi. Ogni trattamento deve essere adattato a seconda delle necessità e delle condizioni fisiche del paziente. Un altro compito del fisioterapista è quello di monitorare l’andamento del piano terapeutico, valutando i risultati e apportando delle modifiche nel caso non si riscontrino i miglioramenti previsti.
L’obiettivo del fisioterapista è quello di aiutare le persone a stare meglio.
E’ una professione che valorizza il contatto fisico tra terapista e paziente. Empatia, ottime capacità relazionali, comunicative e analitiche sono requisiti indispensabili per un fisioterapista, oltre che un saldo bagaglio di conoscenze, resistenza e buona forma fisica.
Cosa è il dolore cronico? Il dolore cronico (o persistente) è definito come un dolore che dura per più di 12 settimane. A differenza del dolore acuto, sensazione che si presenta subito dopo un infortunio, il dolore cronico persiste spesso per mesi o anche di più. A volte puo’ insorgere dopo un infortunio iniziale, come uno stiramento o strappo o puo’ essere la conseguenza di una malattia. Spesso le cause non sono chiare. Altri problemi come fatica, disturbi del sonno, riduzione dell’appetito e cambiamenti dell’umore possono accompagnare questo dolore.
Il dolore cronico può limitare i movimenti e provocare una riduzione della forza e della flessibilità muscolare. Tutto ciò, con il passare del tempo, genera frustrazione e perdita dell’autonomia e confidenza nello svolgere le regolari attività e movimenti. Il dolore persistente si può presentare in varie parti del corpo, per varie ragioni e il livello di dolore è difficile da misurare con una scala, in quanto è molto soggettivo.
Il self management, cioè imparare a gestire questo tipo di sintomi è la base per poter vivere meglio e in autonomia. Per fare questo è necessario conoscere ed evitare degli errori molto comuni. Parlando di dolore cronico non si può non menzionare il cosiddetto ciclo del Boom and Bust: una condizione molto comune a individui che presentano sintomi che durano più di 12 settimane.
Spesso le persone che lamentano dolore cronico, nei giorni in cui si sentono meglio, pensano di dover essere in grado di praticare determinate attività, per compensare, magari, a ciò che non sono riusciti a fare prima a causa dei sintomi (esempio: pulire casa, fare del giardinaggio, semplici lavori di manutenzione o lavorare al computer). Praticare un’attività intensa, che non si è eseguita per molto tempo, può risvegliare i dolori e causare un aumento significativo dei comuni sintomi. L’individuo va incontro a delle flare ups o ricadute e in questo modo è costretto a non poter svolgere più l’occupazione o addirittura a dover stare fermo e/o sdraiato nel letto per giorni o settimane. L’interruzione totale dell‘attività o lavoro può innescare meccanismi di frustrazione e riduzione della tolleranza all’attività stessa. Questo meccanismo è chiamato ciclo del Boom and bust ed è riscontrato in gran parte della popolazione che presenta dolore cronico.
Pacing
Come tutti sappiamo, un’attività passiva, come lo stare seduti per tempi troppo lunghi può provocare un peggioramento dei dolori lombari e cervicali. Per evitare che questo avvenga (soprattutto per chi è davanti al PC), basterebbe alzarsi regolarmente, fare quattro passi o stare un po’ in piedi. Ciò migliorerebbe la tolleranza alla posizione seduta. Questo meccanismo è chiamato “Pacing”.
Se si utilizzasse un timer, una sveglia, per ricordarsi di alzarsi dalla sedia e interrompere per qualche minuto il proprio lavoro, prima che i dolori aumentino, i risultati salutari sarebbero di gran lunga migliori. Il “Pacing” è uno strumento molto importante per gestire i dolori persistenti o cronici.
Pacing significa frazionare l’attività in piccoli “pezzettini” e fare qualcosa di differente o riposare prima di ritornare ad essa. Ad esempio molti guidatori hanno trovato questo escamotage, fermarsi di tanto in tanto ad una piazzola di sosta ed effettuare stretching o fare una piccola passeggiata prima dell’insorgere dei loro sintomi. Questa è la chiave principale, semplice ed efficace per proseguire tranquillamente la propria attività. Basta capire quand’è il momento giusto di fare una pausa e riprendere.
Il “Pacing” riguarda anche lavori come la pulizia della casa. Dedicarsi continuamente per ore ed ore a questa mansione non è una cosa consigliata, meglio fermarsi di tanto in tanto o addirittura svolgerla in un arco di più giorni. Un altro esempio potrebbe essere quello di non fare una grande spesa in un solo giorno ma suddividerla in più giorni, evitando di portare troppi pesi. Tutto questo è un altro esempio di “Pacing”.
Misurare l’intensità di un’attività, darsi degli obiettivi e dei limiti, rispettarli e incrementarli con il tempo e soprattutto avere costanza e un atteggiamento positivo, sono le basi per affrontare i dolori persistenti ed evitare di ricadere sempre negli stessi errori, uscendo da questo Boom and Bust cycle.